San Sebastiano | Villarazzo

San Sebastiano

| Villarazzo

Descrizione

Antica dipendenza della pieve di Godego, da questa emancipatasi nel 1480, l’edificio attuale rappresenta l’ultima opera dell’architetto Michele Fapanni, costruita a partire dal 1846 in luogo di quella precedente, divenuta angusta e pericolante. I lavori furono finanziati dalla nobildonna Elena Dolfin Gradenigo, proprietaria della vicina villa. L’edificio primitivo aveva l’orientamento capovolto, rivolgendo la facciata alla vecchia strada che si snodava lungo il torrente Muson.

Costituita da un solo vano absidato, ha linee sobrie e regolari, come prevedono i dettami neoclassici. All’interno è conservata la pala con i Santi Antonio abate, Paolo apostolo, Sebastiano e Rosalia di Egidio Dall’Oglio, dipinta negli anni in cui il fratello Francesco era parroco di Villarazzo (17511762)[1].

Cenni storici

Il toponimo (in passato attestato come Villa RatiiVilla RasiiVilla Racii e Villa Rasia) è di difficile interpretazione. Probabilmente è un diminutivo di villa, con il significato di “piccolo villaggio”.

È citata per la prima volta nel 1221 tra i feudi di Ezzelino II da Romano, tuttavia non compare nel documento del 1223 relativo alla spartizione dei beni della sua famiglia.

Nel 1314, durante la guerra che oppose Cangrande della Scala a Treviso, le truppe veronesi la saccheggiarono assieme alla vicina Godego. Le cronache citano in quest’occasione la vicenda del mugnaio di Villarazzo al quale gli invasori, che lo avevano sequestrato, chiesero ragguagli sui borghi di Castelfranco e in particolare se duecento uomini fossero bastati a conquistarli; l’uomo rispose di non saperlo, non essendo lui un uomo d’arme, e fu quindi rilasciato.

Passata alla Serenissima, al 1389 risale la prima attestazione in loco dei Moro, famiglia veneziana che dal 1480, in occasione dell’erezione della parrocchia, ne ebbe il giuspatronato.

Nel 1414 la podestaria di Castelfranco decise di esentare il villaggio da ogni tassazione, a causa della sua povertà. Tale provvedimento, confermato dal il Senato veneziano, sopravvisse alla fine della Repubblica e solo nel 1806, sotto Napoleone, venne abolito.

Il 17 maggio 1796 il parroco don Sante Moresco iniziò una Cronica del paese, registrando tra l’altro le angherie dei soldati francesi che saccheggiarono il patrimonio della chiesa.

S. Sebastiano

Patrono

Il santo visse quando l’impero era guidato da Diocleziano. Oriundo di Narbona ed educato a Milano, fu istruito nei principi della fede cristiana. Si recò poi a Roma, dove entrò a contatto con la cerchia militare alla diretta dipendenza degli imperatori[1]. Divenuto alto ufficiale dell’esercito imperiale, fece presto carriera e fu il comandante della prestigiosa prima coorte pretoria, di stanza a Roma per la difesa dell’Imperatore. In questo contesto, forte del suo ruolo, poté sostenere i cristiani incarcerati, provvedere alla sepoltura dei martiri e diffondere il cristianesimo tra i funzionari e i militari di corte, approfittando della propria carica imperiale.

La Passio racconta che un giorno due giovani cristiani, Marco e Marcelliano, figli di un certo Tranquillino, furono arrestati su ordine del prefetto Cromazio. Il padre fece appello a una dilazione di trenta giorni per il processo, per convincere i figli a desistere e sottrarsi alla condanna sacrificando agli dei. I fratelli erano ormai sul punto di cedere quando Sebastiano fece loro visita persuadendoli a perseverare nella loro fede e a superare eroicamente la morte. Mentre dialogava con loro, il viso del tribuno fu irradiato da una luce miracolosa che lasciò esterrefatti i presenti, tra cui Zoe, la moglie di Nicostrato, capo della cancelleria imperiale, muta da sei anni. La donna si prostrò ai piedi del tribuno il quale, invocando la grazia divina, le pose le proprie mani sulle labbra e fece un segno di croce, ridonandole la voce.

Il prodigio di Sebastiano portò alla conversione un nutrito numero di presenti: Zoe col marito Nicostrato e il cognato Castorio, il prefetto romano Cromazio e suo figlio Tiburzio. Cromazio rinunciò alla propria carica di prefetto e si ritirò con altri cristiani convertiti in una sua villa in Campania. Il figlio invece rimase a Roma dove patì il martirio, poi, uno a uno, anche gli altri neocristiani morirono per aver abbracciato la nuova religione: Marco e Marcelliano finirono trafitti da lance, il loro padre Tranquillino lapidato, Zoe sospesa per i capelli a un albero e arrostita.

Quando Diocleziano, che aveva in profondo odio i fedeli a Cristo, scoprì che Sebastiano era cristiano esclamò: “Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me.”; Sebastiano fu quindi da lui condannato a morte. Fu legato ad un palo in un sito del colle Palatino, denudato, e trafitto da così tante frecce in ogni parte del corpo da sembrare un istrice. I soldati, al vederlo morente e perforato dai dardi, lo credettero morto e lo abbandonarono sul luogo affinché le sue carni cibassero le bestie selvatiche; ma non lo era, e Santa Irene di Roma, che andò a recuperarne il corpo per dargli sepoltura, si accorse che il soldato era ancora vivo, per cui lo trasportò nella sua dimora sul Palatino e prese a curarlo dalle molte ferite con pia dedizione. Sebastiano, prodigiosamente sanato, nonostante i suoi amici gli consigliassero di abbandonare la città, decise di proclamare la sua fede al cospetto dell’imperatore che gli aveva inflitto il supplizio. Il santo raggiunse coraggiosamente Diocleziano e il suo associato Massimiano, che presiedevano alle funzioni nel tempio eretto da Eliogabalo, in onore del Sole Invitto, poi dedicato a Ercole, e li rimproverò per le persecuzioni contro i cristiani. Sorpreso alla vista del suo soldato ancora vivo, Diocleziano diede freddamente ordine che Sebastiano fosse flagellato a morte, castigo che fu eseguito nel 304 nell’ippodromo del Palatino, per poi gettarne il corpo nella Cloaca Maxima.

Informazioni e leggende sulla sua vita sono narrate nella Passio Sancti Sebastiani (“Passione di San Sebastiano”), opera a cura di Arnobio il Giovane, monaco del V secolo, e poi nella Legenda Aurea scritta da Jacopo da Varagine.

 

Orari Messe
Parrocchia di Villarazzo